Il Selvatico nei suoi 150 anni di Storia. I primi 100 anni

di Mario Iral

La nascita e le prime affermazioni

Compie ora 150 anni una delle più antiche1 e una delle più importanti Scuole d’Arte d’Italia  voluta e creata dal marchese Pietro Selvatico Estense nel 1867.

Una scuola che ha formato molte generazioni di artisti e ha contribuito fortemente allo sviluppo dell’arte e dell’artigianato a Padova e anche in Italia. Molti sono stati i docenti-artisti e molti i Direttori illuminati che, tutti insieme, con il loro contributo hanno mantenuto e migliorato quello che possiamo definire un tempio per la creazione di talenti.

Non a caso buona parte dei protagonisti dell’arte a Padova sono stati allievi al Pietro Selvatico e per conoscere le vicende artistiche della città è indispensabile prendere visione anche della storia della scuola d’Arte Pietro Selvatico.

Doverosamente dobbiamo fare giustizia e chiarezza sui meriti di Pietro Selvatico, che nell’Ottocento godeva indubbiamente di grande fama, ma oggi pochi sanno il valore dei suoi contributi.

Cominciamo da un merito fondamentale: Pietro Selvatico salvò la Cappella degli Scrovegni con gli affreschi di Giotto dal piano di demolizione messo in atto a metà ‘800 (infatti, il Palazzo Scrovegni, concomitante alla Cappella, fu demolito con l’intento di far riemergere i resti dell’arena romana).

B.Lava, Ritratto del marchese Pietro Selvatico Estense, fine Ottocento

 

Teorico e critico d’arte, architetto, docente di estetica e segretario all’Accademia di Venezia dove dal 1851 al 1856 assume anche la carica di Presidente. Fu anche membro onorario delle principali Accademie d’Italia e nei suoi studi di architettura (fu anche allievo di Giuseppe Jappelli) compì molti viaggi in Europa: Parigi, Monaco, Londra, Dusseldorf, frequentando gli esponenti della cultura romantica e neocattolica. Nel neonato Regno d’Italia fu invitato dal Ministro dell’Istruzione Ruggero Bonghi nella commissione che riformò le Accademie e avviò l’istituzione di scuole superiori di Architettura. Nel 1864 una malattia agli occhi, curata in seguito con un intervento chirurgico, rallentò le sue attività in ambito nazionale e in seguito si dedicò al progetto per una scuola di disegno e modellazione per artigiani da istituire a Padova. Bisogna tenere in considerazione che nel 1861 l’obbiettivo del nuovo Regno d’Italia era quello di far scomparire i 17 milioni di analfabeti, pari al 78%, creando e divulgando la lingua italiana, all’interno di questa realtà Pietro Selvatico sentiva, da molti anni, il dovere di creare e divulgare anche un’arte da poter definire italiana. “Il vero, non v’ha dubbio, deve essere sempre la guida di un’opera d’arte” 2. Le ragioni fondamentali che diedero vita a questa nuova “Scuola di Disegno e Modellazione” furono quelle di raccogliere una naturale esigenza del mondo artigiano di poter migliorare la professionalità, ma anche quella di fornire agli alunni una vera cultura della “Composizione” ovvero l’esigenza di sviluppare le capacità creative con l’ausilio di solide basi.

Il disegno per Pietro Selvatico era sinonimo sì di addestramento della mano, ma in particolare era la dimestichezza delle regole della geometria, della tridimensionalità e le specifiche conoscenze, anche culturali, degli stili.  La denominazione:”Disegno e Modellazione” era un binomio significativo che riassumeva il pensiero del fondatore, il quale dopo gli anni di docenza all’Accademia di Venezia, riteneva indispensabile che ogni esperienza riguardante il disegno doveva essere sostenuta e concretizzata dalla pratica delle “officine”.

Chi avesse agile, pronta, sicura la mano a riprodurre il modello colla matita ed ignorasse l’arte di tradurlo in creta, non potrebbe tentare la ornamentazione di rilievo; e chi pur maneggiasse bene la creta senza possedere destreità nel maneggio dei ferri, non potrebbe foggiar abilmente in legno, in pietra od in metallo, mobili e decorazioni che in queste indocili materie vogliono essere preparate.” 3

Il 2 dicembre 1867 nello studio laboratorio dello scultore Natale Sanavio iniziavano ufficialmente le lezioni con 52 alunni – in forma non ufficiale i corsi erano già iniziati l’anno precedente – lo scultore, incaricato da Pietro Selvatico, insegnava tutte le materie, disegno di ornato, disegno di figura, modellazione e intaglio.  Uomo di grande esperienza, Natale Sanavio corrisponde alle esigenze del fondatore, abilissimo intagliatore e ritrattista, nato nella scuola dei Rinaldi4 e anche collaboratore di V. Besarel5, il Museo Civico e la città conservano molte prove della sua professionalità.

Negli anni successivi, nei locali adiacenti al Convento di San Francesco (dal 1868 al 1888), furono introdotti nuovi insegnamenti e allestiti anche dei laboratori di falegnameria e di intaglio della pietra e del marmo oltre a quelli già esistenti di plastica e intaglio del legno. I nuovi insegnanti erano:

Barnaba Lava per la geometria piana e solida, aritmetica, disegno di costruzioni ed elementi di architettura decorativa; Giuseppe Canella per l’ornato inferiore e superiore; Amedeo Campello per l’ebanisteria; Giuseppe Sala per la pittura murale e naturalmente Natale Sanavio per la plastica applicata e il disegno di figura. Le esercitazioni eseguite dagli alunni in questo scorcio di secolo, che fortunatamente sono giunte fino a noi, denotano una matura conoscenza dei codici stilistici propri di quella fase storica e, nello stesso tempo, sono caratterizzati da una straordinaria perizia tecnica oggi ineguagliabile. Lo studio degli stili doveva seguire le regole dettate dai maestri del gotico e del rinascimento, infatti a questo scopo la scuola si era dotata di opportuni esempi di ornato e di specifici modelli architettonici.

Nel 1890 la serie dei modelli raggiunse il numero considerevole di 230 e venne appositamente redatto un catalogo illustrato6 con indicate le caratteristiche e il prezzo di vendita di ciascun modello; si trattava di modelli costruttivi, esempi sugli stili e modelli di meccanica, molti dei quali erano richiesti da varie università e da altri istituti italiani. L’elenco7 delle esposizioni, nazionali e internazionali, e dei premi conseguiti dalla Scuola si allungava notevolmente, citandone solo alcuni: 1879 Esposizione di Parigi medaglia d’0ro; 1892 Esposizione Generale Nazionale di Palermo medaglia d’oro; 1900 Esposizione universale di Parigi medaglia d’oro. Indubbiamente queste affermazioni, anche internazionali, sono la prova della validità delle scelte didattiche di Pietro Selvatico e della professionalità dei maestri-artisti da lui selezionati.

Aula di disegno costruttivo corredata da numerosi modelli didattici, 1921

Impalco a doppio centinone, sostenuto da un castello applicato nel tamburo di una cupola sferica

Disegno per modello di cinematica che rappresenta un meccanismo per trasformare il movimento circolare in oscillante,
fine Ottocento

Modello di cinematica usato per le dimostrazioni didattiche sulla forza centrifuga, fine Ottocento

Una figura importante, non solo per la scuola, ma anche per Padova, è stato Barnaba Lava.

Ingegnere, architetto, ritrattista, xilografo, insegnò dal 1873 al 1919, diede forma agli ideali più alti di Pietro Selvatico mettendo in atto un importante piano didattico che in seguito si concretizzò in un grande contributo alla conoscenza dei pregi architettonici di Padova.

Officina scalpellini e plastificatori, cortile interno di palazzo Sala, 1890

Aula di ornato, figura e disegno costruttivo, ultimo piano di palazzo Sala, 1890
(a destra Barnaba Lava)

Le 98 tavole dei “Rilievi delle Antiche Fabbriche Padovane” erano, e sono ancora oggi, il più importante lavoro scientifico di documentazione architettonica, svolto con rigore, puntualità e sensibilità artistica, sui principali edifici storici di Padova. Come Bresciani Alvarez disse in proposito: ”Aveva 3 scopi: esercitare gli allievi alla riproduzione dal vero, aumentare il corredo artistico e didattico della Scuola, salvare dall’oblio interessanti monumenti architettonici.”8 In occasione della pubblicazione, avvenuta nel 1997 per volontà di Bresciani Alvarez e l’editore Lino Scarso, del libro “Rilievi delle Antiche Fabbriche Padovane” in prefazione Bresciani scrive: “ Ora a distanza di 86 anni è stato possibile esaudire il desiderio dell’allora Direttore Barnaba Lava. Voglio così sperare che questo volume, oltre a testimoniare la qualità del lavoro delle passate generazioni, possa costituire motivo di nuovi studi e approfondimenti per radicare maggiormente lo spirito che sempre ha informato la scuola, e Pietro Selvatico, nella vita e nella realtà culturale non solo padovana e italiana, bensì europea.”8

La nuova sede Jappelliana 1910

I locali assegnati alla scuola presso le adiacenze del Palazzo Sala (dal 1888 al 1910) erano inadeguati e insufficienti e con l’impegno tenace del Senatore e professore Giuseppe Veronese, allora Presidente del Consiglio di Amministrazione della Scuola (dal 1894 al 1917), veniva pianificata la ristrutturazione del “tempio di Jappelli” per fornire alla “Pietro Selvatico” una sede confacente alle esigenze di funzionalità, e nello stesso tempo, rappresentativa per il pregio architettonico, infatti l’ex macello di Jappelli era ed è il primo edificio neodorico d’Italia. Costruito nel 1819-22 come macello pubblico si rivelò presto poco funzionale a tale scopo, infatti la mente geniale e ribelle di Giuseppe Jappelli lo aveva concepito come vero e proprio tempio carico di valenze romantiche e simboliche, “E così il monumento dello Jappelli pare sia stato immaginato appositamente per essa (la scuola)”9diceva Giuseppe Veronese il giorno 13 nov. 1910 nel discorso inaugurale della nuova sede. L’inaugurazione, come si usava allora, fu molto solenne e presieduta da molte autorità cittadine. Per capire però la realtà di quel periodo è necessario soffermarsi sul concreto e puntualissimo discorso del Senatore e matematico Giuseppe Veronese il quale con veritiera lucidità ripercorreva le vicende più significative della Scuola, a volte anche amare, ribadiva le difficoltà incontrate nel raggiungimento dello scopo di fornire alla scuola una sede più adatta e funzionale.“…..e fu allora – nel 1888 – ch’essa dovette abbandonare la sede che aveva nel fabbricato occupato dalla Scuola Normale Femminile, mentre le si assegnava dal Comune la infelicissima sede di via S. Lorenzo, dove le aule di disegno erano confinate in una soffitta malamente ridotta, le officine in locali piccoli e malsani, la sua modesta ma ottima biblioteca e il suo museo ammassati in locali oscuri e angusti.”9

Veronese metteva anche in evidenza il pregio della produzione didattica sottolineando i successi ottenuti nelle Esposizioni internazionali e nazionali, lodando in particolare il lavoro di Barnaba Lava sui Rilievi delle Antiche Fabbriche Padovane “… nei quali abbiamo salvato molti motivi di arte decorativa padovana antica dall’inesorabile piccone distruttore moderno, mentre spesso nelle nuove fabbriche non si trova quel suggello di buon gusto e di bellezza che è carattere e pregio dei lavori Italiani.”9

Augusto Gallo, Resti della Reggia Carrarese, rilievo architettonico in scala, 1903,
Rilievi di Antiche Fabbriche Padovane, tav. 41

Angelo Cappadoro, Loggia della Gran Guardia, rilievo architettonico in scala, 1907,
Rilievi di Antiche Fabbriche Padovane, tav. 78

A.Zagolin e Giovanni Girardi, Casa in via San Bartolomeo, rilievo in scala 1:10, 1904,
Rilievi di Antiche Fabbriche Padovane, tav. 23

Il progetto della nuova sede era stato redatto dal Direttore Barnaba Lava, diretto poi dal ing. Lupati e ampliato successivamente dal ing. Giusti dell’ufficio tecnico comunale con una spesa complessiva di 125.000 lire. Per capire più a fondo le caratteristiche della nuova sede prendiamo alcune frasi dell’allora Direttore: “Di fronte all’atrio, un salone rotondo del diametro di m.16 circa coperto da una volta di cemento armato, di recente costruzione, la quale termina in una grande lanterna coperta a vetri, mostra uno sfondo a colonne dorico greche disposte a semicerchio, fra le quali delle chiusure in ferro e vetro opaco mascherano le officine degli intagliatori e dei falegnami.”  “Dal salone centrale [la rotonda] per un altro ambulacro a sinistra, ove sono collocati dei grandi modelli di costruzioni, si accede a uno spazioso corridoio o meglio galleria, illuminata da tre lanternoni a tetto, colle pareti rivestite da vetrine contenenti modelli di figure e di ornato in gesso, modelli di cinematica e modelli in legno costruttivi ed architettonici, prodotti dall’officina dei falegnami.9

La nuova sede offrì anche la possibilità di un riordinamento didattico e consentì di aprire nuovi laboratori per il ferro battuto e per la pittura decorativa, nonché l’insegnamento della lingua italiana e della storia dell’arte, furono realizzati anche nuovi impianti di illuminazione per i corsi serali e il riscaldamento con i termosifoni. Passando alle dipendenze del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio assumeva il titolo di “Regia Scuola Pietro Selvatico per le Arti Decorative e Industriali”11.  Il periodo di prosperità purtroppo non durò a lungo perché con lo scoppio della prima guerra mondiale la sede della scuola fu sequestrata dalle autorità militari, il materiale non requisito fu trasferito in alcuni locali del Politecnico di Ingegneria in via Loredan. Rimasero in quel periodo solo due insegnanti, non richiamati alle armi, a riorganizzare le lezioni in questi locali improvvisati, e inoltre, durante le frequenti incursioni aeree i maestri di laboratorio offrirono spesso ospitalità agli allievi nelle loro botteghe private. Nel novembre del 1917, con la ritirata di Caporetto, i comandi militari requisirono anche i locali del politecnico universitario con tutto il mobilio che la scuola aveva trasferito, purtroppo questa tragica situazione perdurò inspiegabilmente fino al marzo del 1919. Bisogna riconoscere un grande merito ai docenti in questo frangente, nonostante i disagi riuscirono a salvare e custodire tutto il prezioso materiale della biblioteca storica, dei modelli costruttivi, delle tavole dei Rilievi delle Fabbriche Padovane e altri materiali storici del museo della scuola.

La mancata restituzione della sede originaria al termine della guerra fece aumentare le proteste dei comitati che si opponevano apertamente alle numerose requisizioni che le autorità militari avevano eseguito di molte scuole padovane, a questo proposito sono significativi alcuni articoli di giornale: “Il Veneto” 26 luglio 1916: “UN ERRORE GRAVE CHE NON DEVE ESSERE RIPETUTO”. “Il Veneto” 21 ottobre 1916 “PROBLEMI FONDAMENTALI – Il movimento per ridare al popolo le scuole d’Arti e mestieri si estende a tutta la provincia”, articoli che sottolineavano un forte malumore ribadendo che il futuro delle nuove generazioni doveva essere messo al primo posto. Nel 1919 venne nominato Presidente della Giunta di Vigilanza della Scuola Luigi Vittorio Rossi (fino al 1926), il quale sollecitò ampiamente le autorità militari per riottenere la sede originaria della Scuola “Pietro Selvatico” e nello stesso tempo coinvolse il Comune in modo tale che intervenisse con i necessari restauri. Finalmente il 20 novembre 1921 la scuola ristrutturata e arredata si presentava alla città con una ricca esposizione interna e anche con i nuovi laboratori aperti al pubblico. Il Direttor Ferruccio Pasqui organizzava una solenne cerimonia di festeggiamento del 53° anno di vita e l’avanzamento a Scuola di 2° grado, l’articolo pubblicato da “Il Veneto” il 20 novembre 1921 risulta di straordinaria attualità: “Da un cinquantennio, pur attraversando momenti eccezionalmente critici, seppe affermarsi nel cammino dell’insegnamento pratico. Dimenticata tuttora da coloro i quali maggiormente dovrebbero sentire quali alti fini essa si prefigga, non compresa da chi dovrebbe spontaneamente riconoscere l’utilità, pur tuttavia con mezzi non sempre adeguati seppe percorrere un grande cammino.”

Laboratorio per la sezione di scultura, sede Jappelliana, 1924

Sala di figura nel corridoio est nel 1924

Oltre ai laboratori precedentemente istituiti furono aggiunti 3 nuovi indirizzi con l’ausilio di nuove “officine”: una per costruttori e cementisti, una per l’arte della stampa (xilografia, incisione, litografia) e una per la lavorazione dei metalli fini (oreficeria, cesello e sbalzo) e in aggiunta anche un gabinetto per le scienze e la tecnologia. Si ampliò il laboratorio dei falegnami ed ebanisti con nuove macchine elettriche, rimodernando anche il laboratorio del ferro battuto con un “gabinetto per la saldatura autogena”. Il cortile a destra della rotonda veniva coperto e illuminato da un lucernario per trasformarlo in aula di figura con l’incremento di nuovi modelli in gesso, in aggiunta si costruì una fornace per le terrecotte e con nuovi impianti si rinforzò l’illuminazione per le aule del serale, all’epoca frequentate da più di cento alunni. Otto indirizzi e attrezzature rinnovate erano un buon punto di partenza, Ipotizzando un confronto con la realtà attuale saremmo quasi tentati di auspicare una simile efficienza nel rinnovamento delle scuole.  Nel 1922 la direzione passava all’architetto Giuseppe Odoni che in virtù del forte aumento degli iscritti mise subito in cantiere un ampiamento simmetrico della sede con la sopraelevazione sulle due ali. Nel 7 giugno, sempre del 1922, un articolo di giornale metteva in rilievo una visita importante alla esposizione didattica interna: “Una delle prime mostre visitate dal Duca d’Aosta, e della quale Sua Altezza restò assai ammirato è quella che la scuola artistico-industriale Pietro Selvatico ha allestito in quattro splendidi reparti.”10

Il critico d’arte Andrea Moschetti (Direttore del Museo Civico e studioso di Pietro Selvatico) che faceva parte della giuria per le tre Venezie alla Esposizione Internazionale Arti Decorative di Monza del 192311, con Giuseppe Odoni creò una sezione veneta presentando numerose opere degli studenti: si trattava della Biennale Internazionale di Arti Decorative alla Villa Reale di Monza che in seguito nel 1936 diventò la Triennale di Milano. Con questa importante esposizione iniziava una lunga e nutrita serie di mostre che dimostrarono come la produzione artistica della scuola poteva gareggiare dignitosamente con il mondo delle arti applicate.

La scuola della bellezza 1923-1960

Il forte impulso di rinnovamento e la qualità dei prodotti artistici che la scuola sapeva presentare alla cittadinanza portarono un positivo consenso testimoniato da un lungo e dettagliato articolo intitolato emblematicamente: “LA SCUOLA DELLA BELLEZZA” “Il Veneto” 17 maggio 1923, “… E’ tutto un patrimonio di bellezza che i maestri e gli alunni anno raccolto intorno a sé, diligentemente, con accuratezza amorosa, un poco per se stessi, molto per quelli che verranno, perché qui io credo, che gli alunni sono diversi dagli altri. Qui il lavoro e lo studio sono la gioia di creare.” L’articolo metteva in lucealcuni aspetti importanti dell’apprendimento artistico prendendo come esempio la figura di un giovane allievo (si iniziava la scuola a 12 anni) che con le piccole mani dava già colpi precisi al ferro incandescente creando forme eleganti e lineari “E’ un fanciullo che sa scrivere una lirica delicata anche sul ferro grezzo.”

Con la riforma dell’insegnamento artistico del 2 gennaio 1924 venivano unificati i programmi a livello nazionale e comprendevano 4 anni di studio ad orario completo mattina e pomeriggio. Una significativa dichiarazione di intenti del Direttore Giuseppe Odoni  è resa in occasione della nuova mostra didattica aperta al pubblico dal 4 al 9 novembre 1924, il giornalista in visita raccoglie queste parole: “L’intento nostro sarebbe appunto quello di togliere via quanto di accademico può essere superfluo e ingombrante, per risalire alla cosi detta vecchia bottega… donde uscirono gli insuperabili vecchi maestri del quattrocento e del cinquecento.” 12Si deduce da queste parole una avversione agli eccessi decorativi di impronta ottocentesca ma, nello stesso tempo, Odoni si associa al pensiero di Pietro Selvatico sostenendo la guida insostituibile del pensiero rinascimentale.

Successivamente si apriva una nuova fase, Giuseppe Odoni moriva improvvisamente il 12 giugno 1927, veniva sostituito provvisoriamente dal pittore Giuseppe Bacchetti (docente interno) fino al 1 ottobre del 1927 quando venne nominato Direttore Guido Balsamo Stella, e in quegli stessi anni, dal 1926 al 1933, il nuovo Presidente della Giunta di Vigilanza della Scuola era Carlo Anti.13

La forte personalità e cultura del nuovo Direttore portarono a un periodo di forti cambiamenti, non poteva essere altrimenti, data la sua formazione artistica internazionale tra Venezia e Stoccolma, e le sue frequentazioni con Modigliani, Casorati, Martini, Carrà. Guido Balsamo Stella parlava correttamente 5 lingue straniere, era esperto di calcografia e incisioni su vetro, aveva fondato con l’incisore Franz Pelzel la società S.A.L.I.R. a Venezia.

Nelle scuole d’Arte, in quel periodo, il Direttore aveva anche l’obbligo dell’insegnamento del disegno professionale e la direzione dei laboratori, questo comportava un forte peso sulla didattica dell’insegnamento artistico, le direttive entravano senza filtri e fattivamente nel merito della progettazione. Con Balsamo Stella cambia completamente il concetto di decorazione, non più intesa come ornamento e sovrastruttura stilistica, ma come anima e carattere dell’oggetto stesso. Gli allievi erano chiamati ad impegnarsi non nella copia dei classici ma nella ricerca di nuove forme indipendenti dai dettami degli stili. Negli obbiettivi didattici, per sollecitazione del nuovo Direttore, cominciava a prendere corpo un nuovo e importante aspetto: la creatività individuale, la personalità artistica di ogni alunno che può e deve essere sviluppata nella scuola. Nasce quindi la necessità di trovare un equilibrio tra la disciplina legata alla conoscenza e alle regole del disegno (percorso ottocentesco) e la libertà creativa (ideale del nuovo secolo).

Su questi temi Balsamo Stella ha saputo coalizzare e tenere uniti gli insegnanti Capi di Laboratorio: Giuseppe Guzan metalli fini, Servilio Rizzato scultura, Procolo Odoni architettura,

Luigi Monte falegnameria, Carlo Dalla Zorza pittura, Mario Disertori stampa, Virgilio Pescosta intaglio, Giovanni Gatto ferro battuto. Una importante pubblicazione degli elaborati sulla neonata rivista DOMUS giugno 1928, di Giò Ponti, ne sono tangibile e concreta testimonianza.

In quella occasione venne realizzata una grande e importante coppa in argento sbalzato, con base a prisma esagonale in legno, che rappresentava simbolicamente i laboratori della scuola.

Quasi annuali erano le esposizioni all’interno della scuola aperte regolarmente al pubblico, più impegnative furono le partecipazioni alle Biennali di Arte Decorativa di Monza (poi Triennale di Milano). Un complesso e articolato arredamento allestito in una sala riservata alla Scuola, nel 1930 a Monza, convinse la giuria ad assegnare al “Piero Selvatico” la medaglia d’oro. In questo caso si trattava di una studiata convergenza tra diversi indirizzi, che oggi potremmo chiamare esperienza interdisciplinare, dove le varie sezioni offrivano il meglio delle loro specializzazioni. Nel 1931-32 alla grande Mostra Internazionale di Arte Sacra a Padova14 la Scuola realizza analogamente, con la stessa convergenza di intenti, gli arredi e le suppellettili per una “Cappella gentilizia”. Spirito critico, sperimentazione e libertà creativa sono le linee guida che resteranno attive anche dopo il trasferimento a Monza di Balsamo Stella (1929) anche grazie ad alcune personalità importanti come il nuovo Direttore: il critico d’arte e scrittore Luigi Gaudenzio, e l’architetto e pittore Giorgio Wenter Marini. Dalle parole di Mario Pinton: “Wenter Marini nel suo insegnamento ci spronava sempre a mettere in discussione ogni cosa, cambiare e rovesciare i punti di vista, mettere sotto accusa le teorie consolidate, era effettivamente una personalità vulcanica.”15Laureato in ingegneria e architettura a Monaco nel 1915, frequentava l’ambiente futurista di Rovereto con Depero. Possiamo avere un chiarimento del suo pensiero da una sua affermazione come Direttore della Scuola d’Arte di Venezia: “Gli ordinamenti e le disposizioni devono essere interpretati con leggerezza perché la scuola d’Arte è ribelle” e inoltre affermava anche: “Gli allievi più capaci di intuito e passione sono quelli che secondo i regolamenti dovrebbero essere respinti.” 16

Negli anni 1920-’30 insegnanti e direttori “migravano” rapidamente da un istituto all’altro, questo contribuiva a creare una sorta di circolazione delle idee e un aggiornamento unificante in particolare tra le scuole d’Arte di Padova, Venezia, Cortina, Firenze, Monza. Una sana competizione tra questi istituti era palese nella gara per passare le selezioni delle severissime giurie alle Biennali di Monza, però nello stesso tempo la Mostra di Arte Decorativa costituiva effettivamente un punto di riferimento e guida culturale per tutte le scuole d’Arte. Nel 1935 lo studente quindicenne Mario Pinton vinceva il campionato nazionale di cesello e sbalzo17, oggi facciamo fatica a comprendere la realtà scolastica e il ruolo delle attività di artigianato artistico di quel periodo, con incredulità constatiamo che così presto, a 15 anni, un alunno possedeva già una maturazione tecnico-esecutiva così completa, pari a quella di un esperto artigiano. A conferma di questo abbiamo un altro fatto straordinario: la “Diana e il cervo” in legno dorato, pubblicato sul catalogo della scuola nel 1930, e realizzato dall’alunno Amleto Sartori nel 1927 quando aveva solamente 12 anni: si tratta di un’opera raffinata e matura non solo per l’aspetto esecutivo ma anche per la evidente padronanza dei codici stilistici in voga in quel periodo. Oggi chiunque di noi giudicherebbe inverosimile la realizzazione di un’opera così matura da parte di un “bambino” di 12 anni, ma dalle stesse parole autobiografiche di Amleto Sartori apprendiamo che: “Quando avevo nove anni e lavoravo fino a tarda sera da un bravo intagliatore nel quartiere conciapelli…” 18deduciamo quindi, con stupore, che a 12 anni possedeva già 3 anni di esperienza nel campo dell’intaglio su legno.

La Scuola nel 1933 incontrava, con la direzione di Francesco Canevacci (1933-1955) e con la presidenza dello scultore Paolo Boldrin, un lungo periodo di stabilità arricchito da molte e importanti esposizioni: mostra Calcografica a Roma (Gazzettino 16 aprile 1936), primo premio per la litografia al concorso internazionale di Pittsburg. Il Ministro dell’Educazione Nazionale il conte De Vecchi acquistava19 un gruppo di opere esposte dalla scuola alla Triennale di Milano nel 1936. Un evento di grande rilevanza, per tutta l’Italia, è stato sicuramente la Mostra Nazionale degli Istituti di Istruzione Artistica del 1939 dove esponevano alcune Accademie e solo alcuni selezionati Istituti  d’Arte, allestita nel prestigioso Palazzo delle Esposizioni in via Nazionale a Roma.  La Mostra era stata promossa dal Ministero dell’Educazione Nazionale e sollecitata fortemente dallo scultore Paolo Boldrin, allora presidente del “Pietro Selvatico”, anche in virtù della sua influenza politica. Il primo ottobre 1939 venne inaugurata da Mussolini in persona. La nostra Scuola presentava una considerevole quantità di opere, 70 per la precisione, anche di grandi dimensioni e di notevole impegno esecutivo, tra i molteplici elaborati figurava un altare in marmo e porfido completo di accessori in argento e ottone, ferri battuti, vasi sbalzati, arredi in legno intarsiato, e un grande bassorilievo in terracotta intitolato La terra non tradisce mai.

A sottolineare l’importanza di questa affermazione romana della scuola “Pietro Selvatico” troviamo ben cinque articoli, nei diversi giornali del periodo20, che descrivevano con ampiezza di dettagli la validità dei lavori e la straordinaria bravura degli allievi, molti dei quali citati uno ad uno. Leggendo ora i nomi di questi allievi scopriamo che in seguito sarebbero divenuti artisti affermati (Danilo Andreose, Nerino Negri, Gino Trento ecc.).  Osservando con attenzione l’unica opera, tra quelle esposte, giunta fino a noi La terra non tradisce mai       

ci rendiamo conto che la sua tematica sociale espressa con ampiezza poetica risulta apertamente in antitesi con le rappresentazioni di quel periodo storico. Non dobbiamo dimenticare che nel corridoio della scuola al piano terra era stata affrescata una grande mappa dell’Impero Fascista e collocato un busto in bronzo di Mussolini.

Un bombardamento aereo americano21nella notte colpisce rovinosamente la scuola il 10 febbraio 1945, il Direttore Francesco Canevacci che abitava nell’appartamento interno, sul lato est dell’edificio, rimase fortunatamente illeso, però fu costretto a trasferirsi in periferia nella frazione di Torre da conoscenti. In quel frangente i professori Mario Pinton, Tino Rosa e Amleto Sartori rimasero svariate notti all’interno della Scuola bombardata per proteggere i materiali rimasti da eventuali sciacalli, di giorno, assieme al Direttore toglievano le macerie per recuperare, gessi, modelli e arredi e inoltre mettevano anche al sicuro tutto il materiale della biblioteca e dell’archivio nei sotterranei della scuola22. E’ curiosa e illuminante una lettera del Direttore Canevacci che chiede al Provveditorato una bicicletta usata per potersi recare a Torre, la risposta sempre per lettera: “Non possiamo fornirle una bicicletta ma abbiamo a disposizione 2 copertoni nuovi del tipo .. e misura ..” 23. Tutto questo è indicativo della tragica situazione vissuta in quel periodo con la totale mancanza di beni e mezzi. Qualche anno più tardi arrivò dal Ministero una doverosa lettera di menzione e di ringraziamento ai tre giovani insegnanti. Tino Rosa, Mario Pinton e Amleto Sartori per la straordinaria opera di salvataggio dei materiali storici della Scuola24. Durante i lavori di ricostruzione dovuti ai danni del bombardamento, venne presa la decisione di ripristinare lo spazio originario nella rotonda di Jappelli, togliendo i tramezzi sull’emiciclo delle colonne doriche e aprendo l’area interna si formò lo spazio ideale per creare una scenografica gipsoteca. Dal racconto di Nerino Negri, insegnante di scultura dal 1945 al 1960, abbiamo la conferma che i gessi di grande mole che oggi arredano la rotonda furono acquistati nel primo dopoguerra all’I.S.A. di Firenze e trasportati a Padova con un vecchio camion sgangherato, dice testualmente Nerino Negri: “Arrivai a Padova davanti al Selvatico letteralmente sfinito perché durante il lungo viaggio per tutta la notte avevo dovuto sorreggere i grandi gessi con le braccia dentro il camion.”25La Scuolariprese rapidamente le attività didattiche anche grazie ai molti lavori di ristrutturazione compiuti da professori e allievi, sempre citando Nerini Negri, molte parti del frontone interno danneggiato furono rifatte in pietra di Vicenza nel laboratorio di scultura dagli allievi. A questo proposito è bene ricordare che il Ministro della Pubblica Istruzione nel 1948, svolgendo una graduatoria, definiva la “Pietro Selvatico” come la più bella sede di Istituto d’Arte esistente in italia”.26

Amleto Sartori e alunni, Insegna ad altorilievo in gesso all’ingresso della scuola, anni Cinquanta

Cambiarono prospettiva gli spazi int erni e cambiarono anche le prospettive didattiche con la creazione di una nuova sezione di arte dell’oreficeria promossa, guidata e valorizzata da Mario Pinton e una sezione di arte del tessuto guidata da Eliana Wenter Marini. Amleto Sartori, citato dai colleghi come un mito della scultura, insegnava plastica e disegno professionale e il suo studio interno alla Scuola era tutti i pomeriggi affollato di allievi volontari affascinati dal maestro. Tino Rosa e Italo Bassani insegnavano pittura e aprivano agli alunni nuove strade verso il mondo dell’astrazione; Alceo Pantaleoni “col suo grande ciuffo di capelli neri25 impartiva la difficile tecnica della forgiatura; Luigi Gaudenzio con signorilità e competenza faceva scoprire agli alunni i segreti e le verità della storia dell’arte,

Gustavo Griffi, maestro di ornato, proponeva rielaborazioni sempre alla scoperta della natura;

Giuseppe Guzan e Pietro Rossato, maestri indiscussi del cesello e sbalzo, nel curatissimo laboratorio sapevano appassionare le giovani leve; Ferruccio Quaia, intagliatore, portava la sua lunga esperienza di scultore e arredatore di navi triestine. Nerino Negri, scultore, amava educare gli alunni non solo alla tecnica del marmo ma alla conoscenza dei valori cromatici dei marmi rari. Gian Maria Lepscky indicava la luce come guida nel disegno dal vero, Giovanni Nardo destreggiava i suoi alunni alle tecniche dell’affresco e delle lacche, mentre Mario Bernardini, Giovanni Zabai e Alfredo Nicololetti fornivano le basi per l’arredamento e l’architettura. Molte opere di quel periodo superarono il vaglio della giuria della Triennale di Milano e la scuola consapevole delle sue intrinseche potenzialità portava i lavori selezionati nel Palazzo dell’Arte di Giovanni Muzio negli anni 1948, 1951, 1954.

Le sperimentazioni e le tematiche artistiche prevalenti negli anni Cinquanta assumevano percorsi che si orientavano verso l’astrattismo e verso il primitivismo con stimoli positivi che via via contagiavano tutti gli indirizzi, le composizioni mantenevano ancora tracce figurative che consapevolmente si consolidavano dando vita ad un genere iconografico di “transizione”.

Per citare alcuni esempi: il grande pannello, ora nel corridoio orientale con riferimenti alla storia della città, il graffito sulla grande scala della Scuola Alberghiera di Abano, il caminetto e il grande vaso in terracotta esposti alla Triennale di Milano, la grande porta istoriata con formelle in rame sbalzato, la fontana in ferro battuto e molti altri ancora.  Francesco Canevacci lasciava dopo 22 anni, nel 1955, la direzione a Renato Bigi che poi passava nel 1963 ad Andrea Parini, ma in questo periodo le figure concretamente trainanti sono i maestri-artisti i quali hanno saputo interpretare positivamente le dinamiche che intercorrevano tra la didattica e il mondo dell’arte. Il percorso di studi era corposo, i primi tre anni comprendevano il Corso Inferiore nel quale si impartivano già lezioni di disegno geometrico, disegno dal vero, plastica, disegno professionale e laboratorio, mentre nel triennio successivo, Corso Superiore si affrontavano i programmi effettivi dell’Istituto d’Arte, dopo questo percorso di sei anni, col diploma di Maestro d’Arte, la professionalità toccava livelli che non sono più stati raggiunti dai percorsi di studio successivi.

Con la nomina a Direttore di Primo Bidischini, nel 1964, la Scuola si apriva all’Europa, nello stand della Fiera di Monaco dove erano allestiti i “laboratori viventi” di cesello, sbalzo, smalti e oreficeria del “Pietro Selvatico”, il Cancelliere tedesco Willi Brant stringeva la mano a Primo Bidischini complimentandosi per la validità e la bellezza dei lavori presentati.    

Nel 1967 il centenario

Ricordo personalmente (avevo 15 anni) il grande trambusto in “rotonda” di molte e importanti autorità, ricordo anche i solenni discorsi ufficiali intrisi di storia e di auspici per il futuro.

Il Ministro della Pubblica Istruzione On. Luigi Gui, il Direttore Primo Bidischini, il Presidente del Cons. Direttivo Marcello Olivi e il critico d’arte Giuseppe Fiocco e molti altri, sottolinearono tutti da diversi punti di vista la grande opera di Pietro Selvatico e nello stesso tempo citarono  gli innumerevoli protagonisti che dopo di lui avevano fatto grandi i traguardi della scuola.28 L’edificio di Jappelli rinnovato nei suoi allestimenti espositivi si presentava concretamente come tempio e fucina dell’arte, molte opere selezionate erano esposte nelle nuove vetrine, rappresentavano le ultime tendenze comprese le sperimentazioni più recenti di ogni indirizzo,  gli studenti si soffermavano curiosi immaginando, che anche loro, un giorno, avrebbero raggiunto una simile bravura.

Il Direttore Primo Bidischini in quel periodo era indaffaratissimo e lo vedevamo sempre accompagnare alcune autorità o amici artisti come il viennese Fritz Wotruba  in visita alla scuola, l’occasione del centenario per lui era un traguardo fondamentale, era la conclusione di un lungo percorso: quello di rendere  internazionale la scuola, intento sicuramente riuscito, anche merito delle  4 esposizioni a Monaco di Baviera  (laboratorio vivente dal 1964 al 1967) e molte altre a Vicenza, Padova, Faenza, Gubbio per le quali la scuola ha conseguito vari diplomi d’onore e ben 3 medaglie d’oro 29 Riguardo l’opera importante del Direttore Primo Bidischini riporto le parole del mio professore di progettazione Loris Zambon che 40 anni dopo, nel 2006 in occasione della Mostra Storica della Scuola, mi disse:

solo per merito della sua tenacia e della sua lungimiranza la Scuola, non solo si salvò dal declino in cui era avviata, ma ritrovò fervido slancio nella didattica e totale rinnovamento nelle strutture e nei laboratori”.  Si compiva in quel periodo un grande lavoro di bilancio e di slancio verso il futuro. Tre pubblicazioni ne sono testimonianza (le conservo tuttora): la prima di Luigi Gaudenzio, L’Istituto d’Arte Pietro Selvatico nel centenario della sua fondazione che illustra le vicende storiche, la seconda 1867, 1967 Istituto Statale d’Arte Pietro Selvatico Padova che presenta la mostra interna alla scuola, la terza Istituto d’Arte P. Selvatico 1867-1967 celebrazioni del centenario.

Dal punto di vista didattico questi erano anni di grande fermento, bussavano alle porte le nuove tendenze artistiche: arte visuale, optical e arte programmata, gli insegnanti più giovani ne erano portatori, per la scultura Loris Zambon, Luigi Sandi e Gianni Strazzabosco proponevano una didattica di sperimentazione dove l’aspetto visivo e i nuovi materiali guidavano le esperienze creative. Gli studenti erano già in sintonia con questi nuovi linguaggi: forme in tensione, composizioni plastiche, superfici riflettenti e trasparenti, cinetismo ecc. Le aule e i laboratori cominciano a riempirsi di forme ritmiche, moduli geometrici, e superfici in tensione, cambiavano di conseguenza i materiali e si moltiplicavano le tecniche esecutive, plexiglas, alluminio, profilati, celluloide, fili di plastica entravano prepotentemente a far parte dell’operosità degli studenti i quali si sentono coinvolti direttamente in questa accelerazione di modernità. Scultura, pittura, oreficeria e arredamento diventavano necessariamente strutture visuali e le differenze non erano più distinguibili; per questo motivo molti studenti di varie sezioni, al pomeriggio fuori orario, attratti da questi nuovi orizzonti proposti dai professori Piero Brombin, Sergio Bigolin e Nino Ovan e molti altri, seguivano con fervore le loro lezioni, le teorie coincidevano perfettamente e nell’aria c’era una splendida sensazione che l’arte potesse trasformare il mondo.

 

Il testo è stato tratto dal catalogo della mostra ” 150 anni del Selvatico. la scuola delle arti di Padova”.

Padova. Palazzo Zuckermann, Stabilimento Pedrocchi, Musei Civici agli Eremitani

14 ottobre 2017-28 gennaio 2018

 

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